Alla ricerca della qualità perduta nel mondo del Whisky :

Posted: 19th luglio 2011 by adminspirito in WHISKY

Salve

Qualche mese fa, una domenica mattina in TV, mi sono ritrovato a guardare una vecchia Fiction con Sofia Loren come protagonista. Non ricordo il titolo, ma lei era la titolare e proprietaria di un pastificio artigianale in zona campana, in un periodo storico tra le due guerre (mi pare, pressappoco). Vi tralascio qui le varie vicissitudini familiari della (grande) famiglia di cui la Loren era capostipite nella Fiction, per prendere spunto da un avvenimento visto nella stessa. Ho già detto che Sofia Loren dirigeva un pastificio artigianale che aveva ereditato dal padre e come tale, tra i compiti più importanti c’era quello della scelta del grano da acquistare con cui fare la pasta. Dopo averne scelto 3 o 4 tipi in base alla sua esperienza professionale, la Loren si assentava per qualche minuto, al fine di prendere la decisione decisiva, amava ripetere ai vari ri-venditori che aveva un suo segreto per la scelta decisiva. Infatti scendeva in cantina, apriva una grande scatola di legno che custodiva una famiglia di topolini, e gli metteva davanti i vari chicchi di grano e poi si fermava ad osservare. Dopo le prime annusate ed indecisioni i topolini si buttavano a capofitto su di un tipo di grano, fra quelli che la Loren gli aveva portato, e quello che i topolini avrebbero scelto, lei avrebbe comprato per il suo pastificio. Infatti spiegava alla figlia che questo era il metodo che gli aveva insegnato suo padre, perché i topolini, grazie al loro intuito, sanno sempre qual è il grano migliore e, solo con il grano migliore, si può fare la pasta più buona di tutta Napoli, in grado di battere la concorrenza degli altri pastifici.

Ecco ho voluto prendere come esempio un banale (ma non tanto quando recita Sofia Loren) frammento di una fiction televisiva, per far meglio comprendere il punto di partenza del nostro ragionamento.

 Mi piace pensare che un tempo, pure le nostre tanto amate distillerie  scozzesi, avessero un loro metodo per la scelta dell’orzo migliore con fare il proprio whisky. Perché fino alla fine degli anni 60, lo strumento migliore per vendere il proprio whisky era quello di farlo più buono degli altri. Da qui la particolare ricerca delle migliori materie prime, come l’orzo, dei migliori strumenti di lavoro e della migliore arte distillatoria appresa dagli anziani della distilleria. Un tempo ogni distilleria era come si vedeva per il pastificio nella fiction, una specie di famiglia allargata, era la fonte di lavoro e del reddito e ad ogni persona era assegnato un compito ben preciso, con l’obbiettivo finale di riuscire a produrre un ottimo whisky, da poter rivendere agli appassionati estimatori di questa acquavite. Insomma le varie distillerie erano a conduzione familiare e come tali venivano gestite e portate avanti. Il fatto che la Scozia fosse un paese un po’ “fuori” dall’ottica degli stati moderni, ha permesso che questo sistema fosse portato avanti fino alla fine degli anni 70.

Poi, appunto, arrivò l’era “moderna” e le distillerie iniziarono sempre più a far parte di grandi gruppi imprenditoriali. Niente più capo-famiglia che la dirigeva, ma al suo posto un baldo manager, giovane, eletto da qualche consiglio di amministrazione con il solo compito, anno dopo anno, di aumentare i profitti dei soldi investiti. Arrivò il marketing a scapito della qualità assoluta e si iniziò a parlare di come poter “razionalizzare” i costi di produzione. Via le qualità di orzo migliori dal punto di vista aromatico, per quelle che avessero una maggiore resa in alcol, via le botti migliori per l’invecchiamento (europee), per quelle più economiche (americane) e tanti altri piccoli particolari, che messi tutti assieme portarono ad un declino del mondo del whisky, per come si era fatto conoscere nel dopoguerra. Fino alla fine degli anni 70 ogni distilleria si sceglieva il proprio orzo, lo maltava sui propri pavimenti di maltazione, produceva i propri lieviti, unici ed irripetibili e tante altre cose ancora. Ora invece tutte (quasi tutte) le distillerie acquistano orzo già maltato dalle varie malterie industriali ed utilizzano lieviti acquistati; come a dire che tutte le distillerie utilizzano la stessa materia prima.

Il nocciolo del lavoro è passato dal saper produrre il whisky migliore al riuscire a produrre un buon whisky con gli strumenti e budget che l’azienda decideva che andavano utilizzati, al fine di riuscire a stare nei costi del mercato. Le botti di whisky di qualità superiore ancora prodotte vengono usate per essere miscelate con quelle di qualità mediocre al fine di produrre un prodotto discreto per il mercato.

Poi non capisco questa mania di vedere negli ultimi anni, come distiller manager, ragazzi poco più che ventenni a scapito di quelli di una maggior veneranda età, ma sicuramente anche con una maggior esperienza e competenze sulle spalle. Sembra quasi che l’apporto della persona nel mondo del whisky conti sempre meno, come se potesse essere prodotto con un computer.

Le persone di una certa età, che da tempo lavorano nel mondo del whisky ci raccontano che le distillerie che producevano i malti migliori hanno dovuto chiudere i battenti perché i loro prodotti non riuscivano a stare sul mercato per via degli alti costi di produzione. La cosa buffa (o tragica) è che se i soldi spesi per una buona campagna commerciale venissero utilizzati per il miglioramento del processo produttivo, verrebbero fuori dei grandi prodotti.  Certo è che utilizzare l’orzo più economico, le botti più scarse, l’acqua dell’acquedotto, certo non aiuta a fare un grande whisky.

C’è speranza per il futuro e per le persone appassionate di questa acquavite ???

Ultimamente sembra di assistere ad un debole e lento risveglio da parte dell’industria del whisky, si sono aperte alcune micro-distillerie sul modello di quelle antiche e stiamo aspettando di vedere cosa ne uscirà fuori. Nel frattempo meno male che parallelamente, c’è stato il lavoro degli imbottigliatori indipendenti, probabilmente il vero punto di riferimento del whisky di qualità rispetto al ruolo delle distillerie (un po’ assurdo, visto che comunque i produttori restano sempre e solo le varie distillerie). Alcuni di loro, come il nostro Silvano Samaroli, si fanno produrre il whisky su loro indicazione e poi portano loro le botti per l’invecchiamento e lo seguono passo-passo. Poi alcune distillerie si stanno attrezzando da tempo per produrre loro stesse delle edizioni limitate, ma non sempre sono all’altezza delle aspettative, e spesso sembrano più operazioni commerciali. Altri stanno sperimentando la strada del vatting, assemblando whisky di varie distillerie e tipologie, con l’obbiettivo di produrre malti armoniosi e complessi, un po’ come succede nel mondo del cognac da più di 200 anni ormai. Un assemblaggio che sia qualcosa di più della semplice somma dei pregi di ogni singolo malto utilizzato, ma un insieme di parti che contribuisca a creare una vera e propria sinfonia di aromi e gusto.

Quindi divertiamoci ad andare alla ricerca di quelle poche distillerie indipendenti rimaste sul mercato e di quelle pochissime che ancora producono il whisky in modo artigianale e tradizionale, senza scordarci gli imbottigliamenti speciali dei vari indipendent bottler, che di tanto in tanto riescono a regalarci emozioni uniche (anche questi da “prendere con le molle”, in quanto il loro lavoro una volta acquistata una botte è quello di rivenderla, indipendentemente dall’alta o bassa qualità di questa, quindi una regola d’oro è sempre quella di assaggiare e valutare cosa si compra).

Ricordandoci però di “pungolare”, in ogni occasione,  l’industria del whisky perché torni a produrre sempre di più prodotti di qualità superiore. Con la speranza che il mondo delle micro-distillerie possa subire una rivoluzione come lo è stata per i micro-birrifici. Infondo in Scozia l’ambiente, l’aria e l’acqua sono rimasti tale e qauali negli ultimi 200 anni, quindi con un pò di buona volntà si puo tornare a produrre dei grandi whisky, basta volerlo !!

Salute !