Le Distillerie del 18° secolo (e anche prima)

Posted: 2nd febbraio 2011 by adminspirito in ACQUEVITI VARIE, VARIE

Salve

Spesso ci capita di leggere di come fosse alta la concentrazione delle distillerie, in certe zone, in periodi come il 700 o 800. Proprio ieri leggevo la storia della distilleria Glen Livet, presa dal loro sito e, nel descrivere il momento della fondazione ci narrano (cit.) : “Agli inizi del 1800,in una remota valle delle Highlands scozzesi, in una regione conosciuta come Glenlivet, almeno 200 distillerie illecite, lavoravano incessantemente per far fronte alla crescente richiesta di produzione di whisky”. Non è certo una novità, quando ci capita di leggere e/o sentire parlare delle varie zone del mondo, famose per l’arte della distillazione nei periodi precedenti il 19° secolo, si “incappa” spesso in questo tipo di resoconto, a dimostrazione di come se in ogni abitazione ci fosse un alambicco e una piccola distilleria artigianale. Sinceramente noi, abituati a vivere nel mondo moderno, facciamo fatica a mettere a fuoco una situazione del genere, finendo per pensare che forse erano delle esagerazioni e/o che in quel periodo fossero tutti degli alcolizzati (battuta!).  In ogni caso, ovviamente, sono resoconti inconfutabili ormai, visto il trascorrere del tempo, però, comunque, la domanda resta spontanea : ma come era possibile una situazione simile, come si è potuta creare?? In ogni caso, qualunque siano le risposte o altri resoconti di quelle realtà , restano sempre di difficile dimostrazione.

Ed invece…..Qualche annetto fa mi trovavo a “passeggiare” sulle montagne dell’Himalaya, regione dell’ Himchal Pradesh, nel partcolare la catena montuosa che si staglia tra Manali ed il Ladak. Sono quei viaggi in cui ti ritrovi, zaino in spalla, ad attraversare di continuo villaggi, piccolo o grandi, con qualunque mezzo, a piedi, in jepstop, in autobus, ecc… Il periodo in questione era Ottobre/Novembre e, da poco finita la stagione dei monsoni, capitava abbastanza spesso di incontrare strade franate o ponti distrutti, quindi anche per questo il mezzo di locomozione poteva variare di continuo (come dimenticare i corsi dei fiumi “attraversati” con una fune a strapiombo, sopra un “carello” che si muoveva con una carrucola, anche a più di 50 metri di altezza). I paesaggi erano veramente mozzafiato e quella situazione di precarietà, dovuta al dissesto delle vie di comunicazione ci obbligavano a rallentare e a fermarci in posti dove difficilmente di norma avremmo fatto sosta.

Ma c’era un’altra cosa che non sapevo dell’Himchal Pradesh, era famosa in tutto il continente (indiano) per l’altissima qualità delle sue mele, una specie di “trentino Italiano”. Gran parte di quei pendi, ove possibile, finivano per essere coltivati ad albero di mele e in quel determinato periodo stava finendo il momento della raccolta. Una parte cospicua della produzione partiva, con i mezzi più disparati (furgoni, camion, jep, carrucole, a piedi), verso i mercati delle grandi città più a valle, dove finivano sui banchi dei fruttivendoli mentre una parte finiva sui tetti delle case, fatte a fette, ad essiccare al sole per essere poi consumate durante il periodo invernale.  Un’ultima fetta di questa produzione veniva trasformata in succo di mela e poi…… distillata in acquavite.

Esatto avete capito bene, una sera durante una cena mi viene servito un boccale pieno di questo distillato locale di mele (li lo chiamavano simpaticamente “local wine”). Incuriosito chiedo maggiori spiegazione e mi rimandano all’indomani mattina. Il giorno dopo infatti mi portano nel retro del locale dove avevamo cenato e, in piena attività, vedo un alambicco panciuto, assicurato ad una serie di valvole e tubi che sbuffano vapore un po’ dappertutto . Li mi spiegano che l’acquavite di mele bevuta la sera prima l’avevano da poco prodotta loro. Poi mi raccontano anche che questa è una tradizione molto antica e che da sempre distillano tutte quelle mele, un po’ sciupate, che non possono essere vendute ai mercanti di frutta. L’alambicco riscaldato a fiamma viva, sotto la pancia, è completamente annerito dagli oli e dal fumo della combustione e non riesco a comprendere con quale materiale è costruito, poi una serpentina dal suo becco, finisce in un vecchio bidone di metallo (Shell), dove pieno di acqua di torrente, i vapori si raffreddano e condensano per diventare acquavite; il tutto in una stanza di pochi metri quadrati, mentre in un angolo vedo una serie di piccole damigiane e bottiglioni pieni di acquavite da poco distillata. Mi raccontano che la loro famiglia distilla per il consumo della loro “locanda” e del loro emporio e che se voglio vedere alambicchi più grossi devo andare da chi possiede molti campi di mele. Così faccio, mi informo e busso al cancello di una delle aziende più note in quel villaggio (un villaggio grande) e mi apre una ragazza sui 20 anni, molto ben pettinata e vestita nel suo sari di ottima seta. Le dico che sono venuto ad acquistare un litro di acquavite di mele e lei, dopo avermi squadrato candidamente mi risponde : “hai la bottiglia vuota ?”, io “no!”, “allora sono 15 rupie in più” e sparisce detro una tenda che chiudeva una porta.  Dopo poco torna con una bottiglia semplice, senza nessuna etichetta, piena di acquavite, me la porge e dice “sono 30 rupie per il distillato + 15 per la bottiglia (allora 45 ruoie ecquivalevano a circa 80 centesimi di euro), ancora : “la vuoi assaggiare prima?”, visto che sono appena le 10 di mattina declino l’invito alla degustazione, ma gli chiedo altre informazioni sulla distilleria e lei mi conferma che la sua famiglia coltiva e vende le mele, mentre dopo la raccolta a Novembre, tutte quelle un po’ “bruttine” vengono distillate per farne acquavite. Gli chiedo se  anno anche distillato più vecchio, anche di qualche anno addietro e lei mi dice che, di solito, l’acquavite distillata non dura più di 6 mesi, quindi è impossibile trovarne di vecchia, anzi per loro più è “fresca”, meglio è (Tiè!).

Gli chiedo allora se ci sono altri distillatori nel villaggio dove ci troviamo (circa 5000 abitanti) e lei conferma di si, almeno più di 50, ma qui aggiunge, distillano quasi tutti in questo periodo, per farsi la loro scorta personale di acquavite per l’inverno. Distillano i proprietari terrieri dei meleti, distillano i proprietari di ristoranti e/o empori di spaccio merci, distillano le persone semplici per il loro consumo domestico.  Infatti nei giorni successivi mi divertirò a comprare ed assaggiare tanti tipi di acquavite di mele, distillata nei vari villaggi che mi troverò ad attraversare, trovandola ora qualitativamente ottima (come quelle fatte nelle aziende agricole dei meleti), così come disgustosa, dal sapore di petrolio e metanolo, distillata da proprietari di “locande e tavole calde” per la loro clientela di passaggio. Ma la cosa che più stupisce è che in quei 2 mesi, in ogni villaggio che mi troverò ad attraversare, anche il più piccolo, abitato da soli 50/100 persone, sarà impossibile non trovare un locale adibito alla distillazione delle mele. Acquavite che poi resterà ad uso e consumo quasi eslusivo delle stesse popolazioni che la producono in quanto non diventa merce di scambio e/o da esportazione verso i mercati delle grandi città più a valle. In fondo nelle grandi città è possibile acquistare whisky, gin, rum o altro distillati prodotti nelle varie distillerie nazionali e commercializzati in marche locali, più o meno famose.

Però questo “quadretto” ci rimanda, inevitabilmente,  al tema con cui abbiamo aperto questo articolo. Quindi la nostra conclusione è che i tempi raccontati nei libri delle distillerie di whisky (o altri distillati) del periodo del 700/800 non doveva poi essere tanto diverso da quello che ho avuto modo di incontrare e vedere di persona, nelle montagne indiane dell’Himalaya. Nel periodo in cui c’è abbondanza di materia prima si distilla per produrre acquavite, un distillato bianco, preparato per il consumo locale delle popolazioni stesse che lo producono. Un acquavite che non subisce processi di affinamento e/o invecchiamento, (o almeno io non ho mai avuto la fortuna di trovarne),a cui si chiede di durare solo 6/7 mesi, cioè quanto basta per superare l’inverno. Acquavite prodotte, a parte poche eccezioni, con alambicchi di “fortuna”, assemblati alla meglio e peggio. Probabilmente tra di loro, visto che mi hanno saputo consigliare su dove andare a comprane di buona , deve “girare la voce” su quelle di qualità superiore, quelle veramente eccezionali e quelle invece di bassissima qualità. Spesso leggendo documenti che narrano della storia del whisky si apprende che l’acquavite d’orzo prodotta nelle varie fattorie scozzesi difficilmente faceva più di 20 kilometri, il suo consumo era riservato per le popolazioni e per le comunità che la producevano. Solo dopo, in un secondo momento, ci sarebbe stata una specie di selezione naturale delle varie micro-distillerie e quelle che si erano conquistate la fama, sul campo, di produrre ottimo whisky, avrebbero finito per venderlo ad un numero sempre più maggiore di estimatori, prima in Scozia poi Inghilterra e infine in tutto il mondo.

Si, tutto sommato, più ci penso più mi convinco che un tempo, anche dai noi Europa, verso il 18° secolo  il mondo delle acquaviti deve aver subito un’evoluzione simile, anzi pressoché identica. Chissà magari tra qualche decennio qualcuna delle distillerie (ovviamente clandestine o almeno senza nessuna licenza) che ho visitato diventerà famosa in tutto il continente indiano. Forse anche loro inizieranno ad invecchiare le loro acqueviti (valle a trovare le botti usate lassu), ma in ogni caso si creerà un industria del distillato di mele dell’Himchal Pradesh, magari anche una DOC !

Salute !